Come gli alchimisti trasformavano il ferro in oro… voi potete trasformare l’oscurità in luce. Siete tutte benvenute.

venerdì 26 aprile 2013

Ansia, cibo e necessità di controllo

Recentemente ho letto un articolo inerente la relazione che intercorre tra fobie e la necessità di controllo. Una delle componenti-chiave della fobia è l’ansia, la paura di perdere il controllo. Cosa potrebbe succedere se fossi chiusa dentro uno spazio molto ristretto e non potessi uscire? – si chiede la persona claustrofobica. O, nel caso dell’anoressia: cosa potrebbe succedere se io non restringessi sistematicamente l’alimentazione? Cosa potrebbe succedere se non facessi sempre la stessa attività fisica tutti i giorni?, e così via…

Il controllo è in realtà un sentimento qualitativo, sì, ma attraverso il DCA lo trasformiamo in un qualcosa di quantitativo: dose di cibo assunto, entità di attività fisica svolta, B.M.I., taglia dei vestiti… Il punto è che, in realtà, la nostra spasmodica ricerca di controllo è strettamente connessa alla ricerca di un sollievo dall’ansia. Il pensiero di base è: se riesco a controllare alla perfezione tutto ciò che riguarda il cibo e l’attività fisica, allora mi sentirò come se tutto nella vita potesse andare bene. 

Salvo poi ovviamente il rendersi conto che questo “andare tutto bene” è un’utopia, e che le cose non vanno dritte a prescindere dal nostro comportamento alimentare. Ma la sensazione di controllo che l’anoressia comunque c’infonde è tale che continuiamo ad ancorarci ad essa anche quando sappiamo quanto possa essere deleteria per noi.

Io penso – per quella che è stata la mia esperienza personale, si capisce, lungi da me il voler fare di tutta l’erba un fascio – che l’aspetto fondamentale di un DCA sia proprio la mania di avere il controllo. La necessità di avere la sensazione di avere il controllo, vero o illusorio che sia, è la base di tutto. Ma non è tutto, ovviamente. Perché spesso l’anoressia non nasce soltanto come un qualcosa che si sente il bisogno di controllare, ma anche come un modo per provare a sentirci più a nostro agio con noi stesse. Il tutto diventa poi un serpente che si morde la coda: più andiamo avanti nella malattia, più sentiamo che il controllo ci sfugge, più strettamente cerchiamo di controllare l’alimentazione per evitare di essere soverchiate dall’ansia.

L’ansia è un altro elemento molto importante nel contesto di un DCA. Non è tanto correlata al cibo in sé, quanto a tutto il resto: alla vita stessa, così ansiogena che bisogna per forza ricorrere ad una strategia di coping. Occorre inoltre sempre tener presente il fatto che i DCA hanno un effetto sia psicologico, sia neurochimico: il ridurre l’introito alimentare limita la produzione di quei neurotrasmettitori che fomentano l’ansia, e i comportamenti rituali di checkup danno l’illusione di avere il pieno controllo su ogni singolo aspetto della propria vita.

Paradossalmente, più ci s’inoltra nell’anoressia, più la vita diventa difficile. Questo ci spinge a impegnarci ancora di più in questa via distruttiva per mantenere il senso di controllo che il DCA ci dà. L’avere un senso di controllo riduce lo stress.

Una delle cose che più stressa le persone è sentire di non avere il controllo. Quando perdiamo il controllo, attuiamo elaborate ginnastiche mentali per auto-convincerci che abbiamo il controllo, o per evitare di compiere azioni che potrebbero portarci a perdere il controllo. Molte di queste sono ascrivibili al “pensiero magico”: se vado sulla cyclette per mezz’ora, andrà tutto bene. Manterrò il controllo, il mio peso rimarrà stabile, e sarà tutto okay. Oppure: se riesco a restringere l'alimentazione in questo modo, posso controllare tutto e quindi niente mi coglierà impreparata. Cose del genere diventano mantra inconsci che ci ripetiamo più e più volte, arrivando ad organizzare sempre di più la nostra vita in funzione delle stesse.

Quel che dovremo fare, perciò, è imparare ad affrontare face-to-face i nostri veri problemi. Soltanto confrontandoci con quello che ci mette ansia e ci spaventa, possiamo renderci conto che il controllo è sopravvalutato. Inoltre, ironicamente, dato tutto il controllo che abbiamo dato prova di possedere con l’anoressia, possiamo utilizzare lo stesso per mantenerci dritte sulla strada del ricovero: non abbiamo forse dimostrato di avere un controllo così forte da permetterci di fare tutto ciò che vogliamo??!...

Dunque, in conclusione, l’anoressia non è una malattia del cibo, è una malattia del controllo. È anche una malattia dell’ansia, della paura, dello stress, di tutti i problemi assolutamente individuali e personali che ognuna di noi ha e che momentaneamente non riesce ad affrontare se non con quest’erronea strategia di coping. Un DCA è un insieme di tante cose, in fondo, per cui penso che l’unico semplice modo per spiegare cos’è un DCA sia il dire che è… complicato.

venerdì 19 aprile 2013

Ritornando sulla prevenzione dei DCA

Prevenzione dei DCA. Ne ho già parlato in passato, in effetti, ma in questo post voglio focalizzarmi soprattutto su quello che credo tutti dovrebbero conoscere a proposito degli interventi di prevenzione per quanto, si sa, essendo i DCA delle malattie mentali, la copertura preventiva non può per forza di cose essere efficace come quella che si può mettere in atto nei confronti di una malattia fisica.

Per chi non avesse tempo di leggersi tutto questo post che, ve lo anticipo, sarà piuttosto lungo perchè ho in mente un sacco di cose, lasciate che riassuma quello che ad oggi sappiamo in merito alla prevenzione dei DCA in due parole: non molto.

Per chi vuole invece addentrarsi nel tema della prevenzione, parlando come un’epidemiologa, potrei innanzitutto dire che utilizzare il termine “prevenzione” senza alcuna specifica mi sembra quantomeno improprio. Esistono, in effetti, 3 principali tipologie di prevenzione, ovvero:

Prevenzione Primaria: è la forma classica e principale di prevenzione, focalizzata sull'adozione di interventi e comportamenti in grado di evitare o ridurre l'insorgenza e lo sviluppo di una malattia o di un evento sfavorevole.
> Le campagne messe in atto da “Love Your Body” sono un buon esempio di prevenzione primaria.

Prevenzione Secondaria: si tratta di una definizione tecnica che si riferisce alla diagnosi precoce di una patologia, permettendo così di intervenire precocemente sulla stessa, ma non evitando o riducendone la comparsa. La precocità di intervento aumenta le opportunità terapeutiche, migliorandone la progressione e riducendo gli effetti negativi.
> Trattare i disturbi alimentari subclinici o alle prime avvisaglie è un buon esempio di prevenzione secondaria.

Prevenzione Terziaria: è un termine tecnico relativo non tanto alla prevenzione della malattia in sé, quanto dei suoi esiti più complessi. La prevenzione in questo caso è quella delle complicanze, delle probabilità di recidive e della morte.
> Tutti gli sforzi mirati ad incoraggiare parenti e pazienti a trattare il DCA quanto più rapidamente possibile è un buon esempio di prevenzione terziaria.
(Grazie mille a Wikipedia, dalla quale ho preso queste definizioni!)

La maggior parte della prevenzione che si può fare su anoressia/bulimia è prevenzione primaria. La campagna attuata da “Love Your Body” ne è un fantastico esempio. Il problema che secondo me però nasce quando si cerca di attuare una prevenzione primaria sui DCA, è che esiste un solo metodo basato sull’evidenza di prevenzione primaria (del quale parlerò dopo più approfonditamente) e non affronta tutti i fattori di rischio per lo sviluppo di un DCA di cui siamo ad oggi a conoscenza. L’altro problema è che, semplicemente, non se ne sa ancora abbastanza di quali siano le vere cause che portano all’insorgenza di un DCA, per poter estendere e generalizzare la prevenzione a livello di popolazione.

Se ne sa certamente di più rispetto all’importanza di affrontare e trattare i DCA quanto più precocemente possibile, e dal momento che la data odierna mi permette di rimanere in tema, do sfogo alla mia vena nerd di epidemiologia e approfondisco un po’ l’argomento.

Prevenzione Primaria 

Quando ho dato un’occhiata alla letteratura in merito alla prevenzione dei DCA per poter scrivere questo post, ho scoperto che il 95% di essa è basata sulla prevenzione dell’adozione di stili alimentari scorretti, nonché sulla valorizzazione della propria immagine corporea. Ora, chi legge questo blog da un po’ di tempo, saprà benissimo che io credo che condotte alimentari erronee e distorsione dell’immagine corporea NON sono DCA. Per di più, il 100% della letteratura si focalizza su cose come l’influenza dei mass-media e l’importanza di amare il proprio corpo.

Prima di andare avanti, una precisazione: non ho niente in contrario al dare un limitato spazio all’influenza dei mass-media. Di certo questi fomentano un “mercato” dei DCA, poiché il mercato dell’'anoressia/bulimia rende moltissimo: sulle sue tragedie ingrassano enormi settori economici, da quello alimentare a quello degli integratori, a quello dei cibi ipocalorici, delle chewing-gum senza zucchero e delle Coca Cola Light, a quello delle riviste di moda e di stile e dell'inarrestabile dilagare di bisogni falsi che ne derivano, e relative pubblicità ossessive - con gli immani movimenti di denaro che tutto questo muove senza sosta. Ritengo che sarebbe certamente opportuno spiegare alle bambine (e anche a quelle che sono un po’ cresciute…) che un corpo in salute più avere taglie e forme differenti, e che l’importante è prendersi cura di sé nutrendosi propriamente e facendo cose che fanno stare bene. Tuttavia, resto dell’idea che questo tipo di messaggi non serva ad un granché nella prevenzione dell’anoressia.

Nel 2008, Eric Stice ha pubblicato i primi risultati di uno studio (Stice et al., 2008) relativo ad un programma di prevenzione dei disturbi alimentari. In breve, in questo studio sono state prese 481 ragazze adolescenti con problemi relativi alla propria immagine corporea, che sono state divise in 3 gruppi: il primo prendeva in esame rischi, costi e realtà dell’ideale di magrezza, il secondo era un gruppo sulla promozione di un peso corporeo sano, e il terzo (gruppo di controllo) un gruppo di scrittura espressiva. Le ragazze appartenenti ai 3 gruppi avevano 3 ore di tempo per svolgere l’incarico che era stato loro assegnato. In un follow-up eseguito negli anni successivi, gli autori dello studio hanno identificato 3 nuovi casi di anoressia sottosoglia, un nuovo caso di bulimia conclamata, 23 nuovi casi di bulimia sottosoglia, 1 nuovo caso di binge e 12 nuovi casi di binge sublinico. (Le ragazze che avevano già un DCA erano state escluse dallo studio). Rispetto alle ragazze inserite nel gruppo di controllo, le persone nel gruppo di decostruzione dell’ideale di magrezza hanno mostrato una riduzione del 60% della comparsa di “patologie dell’alimentazione” (6% VS 15%).

Tuttavia, nel follow-up svolto nel 2011 la discrepanza si era significativamente ridotta. Le ragazze del gruppo della decostruzione dell’ideale di magrezza mostravano una riduzione dei livelli di sintomi di DCA, ma non una riduzione della comparsa di nuovi casi di DCA. Evidentemente, dunque, l’insoddisfazione per la propria immagine corporea, a lungo termine, non è il vero motore che sostiene l’anoressia.

Il problema degli interventi di prevenzione primaria, a mio avviso, è che essi danno per scontato che i DCA siano primariamente una “malattia sociale”, senza tener conto del fatto che invece sono essenzialmente malattie psichiche. L’anoressia non è il tentativo di raggiungere un’ideale di magrezza, e il pensare che invece essa sia semplicemente legata alla voglia di dimagrire eccessivamente per aderire ad un’ideale di magrezza proposto dalla società rivela una completa ignoranza in materia. Ma se questa è l’idea che viene fatta passare dai mass-media, non posso fare a meno di pensare che non c’è da meravigliarsi che la maggior parte della gente (che non ha vissuto questa malattia sulla propria pelle) percepisca l’anoressia come una malattia legata solo al cibo e al peso, nonché come un capriccio di ragazzine vanitose, e che tenti di prevenirla al più con la settimana “Love Your Body”.

Allo stesso tempo, tralasciando la vera natura dell’anoressia, ovvero quella psicologica, non si va a mirare la prevenzione su quelle che sono le condizioni caratteriali e i backgrounds che potrebbero portare una persona a sviluppare un DCA, interventi che invece penso potrebbero essere utili ad alcuni sottoinsiemi di persone potenzialmente a rischio di sviluppare un DCA. Penso quindi che concentrarsi troppo sulla prevenzione mirata unicamente sulla fisicità, sia un qualcosa di sostanzialmente inutile.

Prevenzione Secondaria 

Malgrado quanto ultimamente i mass-media abbiano detto a proposito delle bambine che cominciano a stare a dieta già dall’età di 9 – 10 anni, non tutte queste bambine hanno il medesimo rischio di ammalarsi di anoressia. In effetti, la stragrande maggioranza di queste bambine che fanno la dieta non svilupperà un DCA. Allo stesso tempo, credo che individuare tra queste bambine quelle che sono effettivamente a rischio di sviluppare un DCA, sia pressoché impossibile. Ci sono certamente dei “fattori di rischio” più generali, ma dato che poi ogni persona ha il suo carattere e il suo modo di rapportarsi agli eventi, è di fatto impossibile prevedere la possibile evoluzione di un DCA.

Alcuni anni fa, dei ricercatori dell’Università di Stanford randomizzarono 480 studentesse universitarie sovrappeso e con problemi relativi alla propria immagine corporea, con un gruppo di controllo per 8 settimane, durante le quali queste ragazze seguirono un corso CBT (Cognitive Behavioural Therapy – Terapia Cognitivo-Comportamentale) on-line con un gruppo di discussione ovviamente monitorato dai ricercatori (Taylor et al., 2006).  
Queste donne vennero seguite per 2 anni, e venne data loro la possibilità di continuare a partecipare alla CBT anche al termine del periodo di follow-up. In sintesi, i ricercatori non rilevarono alcuna significativa differenza tra gruppo di controllo e gruppo di trattamento. Tuttavia, guardando ai sottogruppi di partecipanti, i ricercatori notarono che le ragazze con un BMI > 25 e quelle che mettevano in atto comportamenti di compenso, avevano tratto notevoli benefici dal seguire il programma di CBT. Mentre l’11,9% delle donne con BMI > 25 nel gruppo di controllo aveva sviluppato un DCA subclinico durante i 2 anni di follow-up, non lo aveva fatto nessuna del gruppo CBT.

Certo, i numeri su cui si basa questo studio sono piccoli, e non credo proprio che i ricercatori abbiano pensato di fare delle analisi dei sottogruppi primo e/o dopo aver testato i 2 grandi gruppi in toto. Fare statistiche è certamente complicato, ma costruire a posteriori dei sottogruppi perché i risultati ottenuti non dicono quello che si vuole sentir dire, è fin troppo semplice e matematicamente non significativo. In effetti, i ricercatori hanno iniziato a parlare di sottogruppi solo dopo aver considerato i 2 grandi gruppi in toto, ed aver visto che c’erano delle differenze tra le componenti dei singoli gruppi.

Per quanto ne so, uno studio del genere non è mai stato ripetuto, il che costituisce il maggior punto debole dello studio succitato, e anche di quello di Stice. Mi piacerebbe molto che i ricercatori (che sicuramente staranno tutti leggendo il mio blog… ^__^”) improntassero i loro prossimi studi focalizzandosi su un gruppo costituito da “adolescenti medie”, ovvero ragazze che, al momento dello studio, non hanno niente a che vedere con problemi relativi alla propria immagine corporea, e non abbiamo problemi psichici rilevanti di sorta.

Prevenzione Terziaria 

La prevenzione terziaria è inerente il sospetto diagnostico precoce, la diagnosi precoce, e il trattamento precoce. A tal proposito, è stato creato un programma on-line rivolto ai genitori/familiari di quelle ragazze che aderiscono ai “criteri di rischio” per l’anoressia (Jones et al., 2012): i genitori ricevono per 6 settimane informazioni, la possibilità di chattare con gli altri genitori che consultano il programma, video, quiz, notazioni comportamentali, e sono seguiti per un anno. Delle 19 famiglie che hanno partecipato, il follow-up mostra che molte di esse hanno avuto una riduzione dei “criteri di rischio” per anoressia dopo un anno. Al solito, però, i piccoli numeri tradiscono lo studio: sui piccoli numeri non si può fare statistica.

Soprattutto, il problema con la prevenzione terziaria sta nel fatto che, ad oggi, non si sa cosa effettivamente funzioni, sia utile. È per questo che non viene sostanzialmente fatto niente al riguardo, e i DCA vengono per lo più riconosciuti quando sono conclamati. Anche i medici spesso inizialmente non riconoscono un DCA e dicono: “Non stai poi così male” o “Le cose non vanno poi così male” o “Bè, in fondo non sei [inserire qui i luoghi comuni che vi siete sentite dire millemila volte]". Ho peraltro saputo che ci sono alcune cliniche in cui viene accettato il ricovero solo se la persona ha perso un certo TOT di peso, o vomita un TOT di volte al giorno (AAAAARGH!!!!). E i genitori tendono a negare la malattia fino a che non è conclamata. Tutto questo dovrebbe essere diverso, ovviamente, perché tutto questo riduce la possibilità che una persona malata di DCA possa ricevere l’aiuto di cui necessita e incrementa la mortalità legata a queste malattie… ma tutto questo rimane così perché alla fine nessuno sa veramente come agire.

Eppure, l’importanza del trattamento quanto più precoce possibile nei DCA è sottolineato in un articolo pubblicato già nel 2003:

“[…] C’è una forte evidenza del fatto che più a lungo dura un disturbo alimentare, più è difficile uscirne. I DCA necessitano di una diagnosi precoce al fine di renderne il trattamento più efficace possibile. Tuttavia, ad oggi, nel tempo che occorre per formulare la diagnosi, la persona malata incorre in problemi biopsicosociali rilevanti. L’intervento terapeutico dovrebbe essere messo in atto alle prime avvisaglie, ai primi sintomi di anomalie nell’alimentazione. Dovrebbe essere posta più attenzione su questo punto. Un riconoscimento precoce della malattia da parte di genitori, familiari, amici, insegnanti, allenatori potrebbe facilitare e sveltire l’inizio dei trattamenti terapeutici. La popolazione dovrebbe essere sensibilizzata in merito alla problematica dei disturbi alimentari, e dovrebbe essere impartita un’educazione atta a permettere di riconoscere i sintomi dei DCA quanto più precocemente possibile. Se s’interviene precocemente, s’impedisce la consolidazione di pattern mentali caratteristici di queste malattie, che sono quelli che portano al perpetrarsi del disturbo. […]” 
(mia traduzione)

venerdì 12 aprile 2013

Anoressia & Microbioma: Sentimenti viscerali

Immaginate un esperimento del genere:

Infilate una persona in un frullatore (e, dato che è tutto ipotetico, immaginate d’infilarci una persona che vi sta sul cazzo. Vi sentite meglio? Immagino di sì!). Poi, contate il numero totale di cellule che avete ottenuto. Solo una su 10 di queste cellule è una cellula umana. Il restante 90%? Tutti microbi. Se poi vi mettete a contare il numero totale di geni nel vostro frullato umano (NON lo troverete a breve nei vostri supermercati di fiducia), i numeri saranno ancora più sbilanciati: solo 1 gene su 100 è umano. Il resto sono, analogamente, geni batterici. L’insieme dei batteri che vive nel e sul nostro corpo prende il nome di microbioma.

L’idea ovviamente non è quella di capire chi è germofoba tra voi lettrici del mio blog, ma ammettiamolo: siamo tanto batteriche quanto umane. Molti di questi microbi vivono sulla nostra pelle, nei nostri polmoni, e nelle vie genitourinarie. Ma la maggior parte di essi, tuttavia, vive nei nostri visceri. La loro importanza è cruciale per estrarre energia dal cibo, e questi microbi sono estremamente sensibili a ciò che mangiamo. “Far digiunare dei topi anche solo per un giorno altera drammaticamente la composizione dei loro microbi viscerali. Specificatamente, si riduce drasticamente il numero di un tipo di batteri conosciuti come Firmicutes. Quando i ricercatori hanno trapiantato Firmicutes nelle viscere di topi magri, questi hanno rapidamente guadagnato peso.” (mia traduzione) (Crawford et al., 2009

Quando si parla di anoressia, non c’è un granché da dire a proposito dei microbi. C’è uno studio più unico che raro condotto dal ricercatore Sergej Fetissov, che tratta della potenziale risposta autoimmune che si verifica nelle persone che hanno un DCA, e qualche sporadico lavoro in merito alla relazione tra PANDAS (Disordini Neuropsichiatrici Autoimmuni in Pediatria Associati con Infezione Streptococcica) e anoressia, ma, in generale, i ricercatori non hanno prestato molto attenzione al ruolo che il microbioma potrebbe avere nell’innescare o nel perpetrare un DCA.

Ben di più è stato fatto in merito alle ricerche relative all’obesità. Molti ricercatori hanno dimostrato che le persone con B.M.I. > 30 hanno microbi intestinali diversi rispetto alle persone che hanno un B.M.I. nel range di norma. Anche la chirurgia bariatrica cambia significativamente i microbi viscerali affinché le persone possano perdere peso, rendendoli più simili a quelli che sono i profili batterici delle persone normopeso. Uno studio più recente pubblicato in “The ISME Journal” propone una “dieta del microbioma”: mangiare cibi in grado di eliminare un tipo di batteri chiamati Enterobacter aiuta una persona ad avere una drastica perdita di peso in un lasso di tempo relaztivamente breve. (Fei & Zhao, 2012

Dunque, com’è che questi microbi sono coinvolti nell’anoressia? Ad oggi, in realtà, nessuno lo sa. Ho letto che Cindy Bulik ha iniziato uno studio alla ricerca di queste relazioni, ma ancora non è pervenuta ad alcun risultato utile. Basandosi sugli studi che ho precedentemente citato, è ragionevole pensare che i comportamenti tipici dei DCA (restrizione alimentare, binge, vomito autoindotto…) abbiano un impatto significativo sul microbioma degli individui. È solo una mia idea, niente di dimostrato, ma sono pronta a scommetterci. Comunque, la domanda è: cos’hanno a che fare questi cambiamenti della flora micorbica con I sintomi dei DCA?

È stato osservato che squilibri nella flora microbica intestinale nei topi e nei ratti alterano i normali pattern di assunzione di rischi e comportamenti ansiosi - cosa che, in un certo senso, avviene anche nelle persone con un DCA. Questi potrebbero anche, forse, spiegare la perdita di peso non controllabile che si verifica nell’anoressia e nei DCAnas. Forse l’iniziare una restrizione alimentare induce un significativo cambiamento della flora microbica viscerale, il che va ad amplificare gli effetti della malnutrizione. Forse viene meno un gruppo di microbi che produce importanti ormoni implicati nella regolazione delle sensazioni di fame/sazietà (Leptina, Grelina, Colecistochinina, etc…). Ad oggi, nessuno lo sa veramente.

Un suggerimento in merito al potenziale ruolo del microbioma nei DCA viene da uno studio pubblicato lo scorso 30 Gennaio sulla rivista “Science” e condotto da Smith et al.  
I ricercatori hanno condotto studi a proposito della relazione tra flora microbica viscerale e kwashiorkor, una forma di severa malnutrizione che si verifica quando una persona non ingerisce sufficienti proteine. Delle 317 coppie di gemelli del Malawi che i ricercatori hanno monitorato per 3 anni, la metà è andata incontro a severa malnutrizione, e il 7% ha sviluppato segni e sintomi di kwashiorkor. Ovviamente, una carenza proteica è cruciale per lo sviluppo di questa malattia, ma non è il solo fattore, visto che non tutti i gemelli con un severo deficit proteico hanno sviluppato il kwashiorkor. Quindi, dev’esserci anche qualche altra cosa.

Per prima cosa, i ricercatori hanno trattato le coppie di gemelli discordanti per il kwashiorkor (voglio dire che uno dei due gemelli si era ammalato, mentre l’altro no) con “cibo terapeutico” – basilarmente, burro di arachidi con steroidi. Il gemello con kwashiorkor ha ottenuto significative differenze rispetto all’altro gemello che aveva seguito la sua stessa dieta. I ricercatori hanno trovato significative differenze nei microbi viscerali dei bambini malati che erano stati trattati col “cibo terapeutico”. Interrompere la somministrazione del “cibo terapeutico” ha provocato una regressione nelle funzioni dei microbi viscerali.

Il punto è: quando i ricercatori inoculavano negli intestini dei topi microbi estratti dai visceri di bambini Malawiani malnutriti, questi topi perdevano rapidamente peso e sviluppavano anche loro il kwashiorkor. Questo succedeva nonostante detti topi fossero nutriti in maniera corretta, con dieta ricca e variata, e adeguato apporto calorico. Pertanto, una delle ragioni per cui i ricercatori credono che il “cibo terapeutico” sia così efficace nel trattamento dello kwashiorkor è che esso aiuta a ripristinare la normale flora batterica intestinale.

Quale effetto sortisca il ripristinare una normale flora batterica intestinale, grazie ad una dieta corretta, sui sintomi fisici e mentali dell’anoressia, rimane ancora da scoprire. I probiotici sono un tema caldo, ma gran parte della ricerca a tal proposito è abbastanza esagerata. Sicuramente questa è una strada che presenta un potenziale, una strada che merita di essere percorsa, poiché è necessario saperne di più riguardo a quale popolazione di persone con un DCA può trarre benefici dal ripristino di una normale flora batterica, e quale no. Ma mi pare un’idea interessante, e penso che dovremmo saperne di più a proposito del ruolo del microbioma nello sviluppo e nella perpetuazione di un DCA.

Per concludere, la citazione del ricercatore John Rawls in una sua intervista rilasciata allo “Scientific American” (mia traduzione):

“Siamo nel bel mezzo di una rivoluzione della nostra capacità di descrivere la composizione e il potenziale fisiologico di queste comunità batteriche. […] Quello su cui possiamo iniziare a speculare, comunque, sono i diversi tipi di relazione che possono esserci. Sappiamo che il microbioma viscerale incremente la nostra capacità di estrarre calorie dai carboidrati complessi, e questa è chiaramente una relazione mutualmente benefica. Ma si sa che tutti i vertebrati hanno la capacità di digerire e assorbire autonomamente anche altri tipi di nutrienti, quali lipidi, proteine e carboidrati semplici, perciò non è perfettamente chiaro quale sia la relazione mutualmente benefica tra organismo e batteri relativamente a questi nutrienti…”

venerdì 5 aprile 2013

I mass-media devono fare il loro lavoro

Non tanto spesso quanto sarebbe, a mio avviso, necessario, i mass media si degnano di parlare di DCA. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, l’immagine che passa attraverso la TV o attraverso i giornali delle persone che hanno un DCA è talmente fuorviante che mi verrebbe voglia di prendere a capocciate il televisore per sfogare tutta la mia frustrazione.

Il caso di specie:

Anoressia e Bulimia sono drammaticamente in aumento 

Tratto da una storia pubblicata on-line dal giornale “The Independent” relativa ad una psicologa che attraverso il suo articolo cerca di parlare ai genitori in merito al come crescere figlie adolescenti. (Dateci una lettura per farvi un'idea di dove andrò a parare, poi tornate qui a leggere quel che segue...)

"Anche l’anoressia e la bulimia sono drammaticamente in aumento: le statistiche prodotte in merito ai ricoveri ospedalieri di ragazze affette da disturbi alimentari ammontava, lo scorso Ottobre, al 16% di tutti i ricoveri, e di questi il 10% era relativo a ragazze di non più di 15 anni. 

“Questa è un’ informazione molto interessante” – afferma Biddulph – “Chiunque abbia una figlia adolescente adesso penserà a questo, guardandola”. Le figure da rimproverare, afferma anche, sono soprattutto i mass-media, e la società attuale. “Stanno distorcendo la sensibilità delle ragazze, le fanno sentire come se avessero una fisicità inadeguata. Ma è tutta una strategia di marketing”. "

(mia traduzione) 

L’articolo parla anche dell’“epidemia” di autolesionismo nella medesima popolazione adolescenziale. Sebbene non sappia molto sulla prevalenza dell’autolesionismo, posso con ragionevole certezza affermare che la valutazione dell’incremento del numero dei ricoveri ospedalieri di persone affette da DCA non ci dice nient’altro che il fatto che ci sia stato un aumento del numero dei ricoveri per DCA.

Quello che invece NON ci dice:

(in grassetto + corsivo, quello che afferma l'articolo. A seguito, il mio commento)

• C’è stato un aumento dei casi di DCA. No. Il numero COMPLESSIVO delle persone affette da un DCA può essere pure rimasto inalterato o diminuito. Non lo sappiamo, in realtà. L’aumento del numero dei ricoveri può essere dovuto al fatto che ci sono stati dei casi più severi di malattia, o che i DCA vengono diagnosticati più di frequente e questo comporta una più frequente ospedalizzazione. Non ci dice affatto quanti sono i casi di persone con DCA che non sono attualmente ospedalizzate.

• Un aumento del numero di ospedalizzazioni è una cosa drammatica. Se più persone affette da DCA accedono ad ospedali (o a strutture specializzate), significa che più persone ricevono le cure di cui necessitano. Mi sembra una cosa positiva.

• Le 15enni sono maggiormente a rischio DCA. Considerato che l’età di maggior incidenza dell’anoressia è quella compresa tra i 12 e i 18 anni, non sorprende che un elevato numero di persone ospedalizzate siano 15enni. Anche la persona che ha scritto l’articolo non lo troverebbe scioccante né sorprendente, se si fosse documentato un po’ al riguardo, prima di scrivere.

• C’è un epidemia di DCA. Da definizione tecnica, “Si definisce epidemia (dal greco επί + δήμος, lett.: sopra il popolo ) una malattia che colpisca quasi simultaneamente una collettività di individui con una ben delimitata diffusione nello spazio e nel tempo, e che causi un numero dei casi in aumento rispetto ai valori attesi.” (grazie, Wikipedia!) Ecco il punto: non abbiamo alcuna informazione relativamente al numero complessivo delle persone che attualmente hanno un DCA in una determinata popolazione, per cui NON POSSIAMO dire che il numero dei casi sia superiore a quelli che ci saremmo aspettati. Perché, quanti casi ci saremmo aspettati? Dire che c’è un’epidemia di DCA è gettare fumo negli occhi. Per quel che ne sappiamo, NON c’è un’epidemia di DCA, attualmente.

I DCA esistono da ben prima dell’avvento dei mass-media. E non mi risulta – consultando studi pubblicati su PubMed – che ultimamente vi sia stato un chissà quale incremento di anoressia e bulimia, e che questo presunto fatto sia ascrivibile ai mass-media. Ascoltiamo pure quello che ci viene detto in TV… ma poi documentiamoci attraverso fonti più scientifiche, perché solo così possiamo arrivare a reali conclusioni, senza farci imbonire.
 
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